Mark J. Nelson (2016). Lavorare è giocare: Breve storia di un'idea in bilico tra capitalismo e comunismo. In Oltre il gioco: Critica della ludicizzazione urbana, pp. 35–48. ISBN: 978-8840018782
Negli ultimi anni, la ludicizzazione ha ottenuto grande visibilità non solo in ambito accademico, ma anche giornalistico. I suoi ardenti fautori incoraggiano l'applicazione di principi ludici a contesti extra-ludici, come il lavoro. Secondo gli “esperti”, infatti, i medesimi ingredienti che rendono appetibili, irresistibili e coinvolgenti i videogiochi potrebbero essere impiegati per attività più produttive. Ma contrariamente a quanto affermano gli evangelisti dell'odierna gamification, questa teoria è tutt'altro che nuova: il tentativo di trasformare il lavoro in un gioco ha numerosi precursori. In questo saggio, illustro sinteticamente due casi esemplari: gli esperimenti condotti nell’ex-Unione Sovietica nella prima metà del Ventesimo secolo e le innovazioni introdotte all'interno del sistema manageriale statunitense tra la fine del Ventesimo secolo e l'inizio del Ventunesimo. Nell'ex-Unione Sovietica, numerose iniziative ludiche e competizioni giocose miravano a incrementare la produttività, favorire il lavoro di squadra nonché incentivare la creatività individuale. Analogamente, il sistema manageriale statunitense faceva appello a un presunto “istinto ludico innato e primordiale” per ridurre il divario tra l’attività ludica e quella lavorativa. Come tenterò di dimostrare nelle prossime pagine, il fenomeno contemporaneo della ludicizzazione lavorativa presenta numerose affinità con l'approccio sovietico e americano. Una ricognizione di natura storiografica può aiutare ad affrontare la questione in modo critico ed equilibrato, senza lasciarsi travolgere da facili entusiasmi.
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